Greenwashing/Redwashing

“Greenwashing” è un termine che deriva dalla crasi delle parole inglesi “green” e “whitewashing” (sbiancare, riverniciare). In italiano può essere tradotto come “ammantarsi di verde”, ed indica l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientali da parte di un’organizzazione (non necessariamente un’impresa) finalizzata alla creazione di un’immagine positiva per le proprie attività o prodotti, o di una raffigurazione di sé mistificata per distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi.Il Redwashing è una pratica del tutto simile, ma mirata alla costruzione di una immagine attenta alle questioni etico-sociali.

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Si tratta di attività gravemente scorrette, finalizzate a presentarsi in maniera attraente all’interno di un contesto in cui l’opinione pubblica e le scelte di consumo risultano essere influenzate dai valori della sostenibilità e della responsabilità sociale. In questo modo, non solo vengono ingannati tutti gli stakeholder, ma si indeboliscono gli sforzi che sono realmente indirizzati ad abbattere gli impatti ambientali e a promuovere valori di carattere sociale.

Pur diverse nei contenuti, queste due pratiche condividono le medesime origini. Anche per questo, possono essere individuati alcuni tratti in comune:

  • Deformazione della realtà: si dichiara che un prodotto o una pratica sono sostenibili presentando una singola caratteristica, e omettendo una visione di insieme più completa. Un esempio può essere l’adesione a campagne di organizzazioni no profit, ma la contemporanea scelta di fornitori in controtendenza rispetto ai contenuti di quelle iniziative;
  • Mancanza di dimostrazioni: dichiarazione di caratteristiche non sostenute da sufficienti informazioni, o non verificate da terze parti; Vaghezza: ricorso a strategie comunicative equivoche, tese ad approfittare delle inclinazioni morali da parte dei consumatori, che però, spesso, non hanno tutti gli strumenti necessari per esercitare valutazioni critiche;
  • False etichette: uso di parole o immagini apposte sul packaging e rassomiglianti a label di parti terze, quando in realtà il prodotto non gode di certificazioni;
  • Irrilevanza: enfatizzazione di iniziative in realtà ininfluenti.

In campo ambientale, un caso classico è quello della dicitura “CFC free”: i CFC (clorofluorocarburi) sono stati banditi dal protocollo di Montréal a partire dal 1990 per combattere il buco dell’ozono, per cui rivendicare il merito di non farvi ricorso è senza dubbio ingannevole.

In ambito sociale, un esempio è l’espressione “Prodotto non testato sugli animali” applicata ai cosmetici: nei Paesi UE il divieto di commercializzare prodotti cosmetici testati sugli animali è in vigore dal 2013. Reclamare il merito di rispettare la normativa comunitaria non è certo un atteggiamento rispettoso nei confronti dei clienti.

Proprio per evitare questi fenomeni degenerativi, istituzioni e organizzazione internazionali hanno sviluppato sistemi di etichettatura e certificazione che garantiscono l’affidabilità degli impegni assunti dalle organizzazioni che li adottano. Fette sempre più ampie di consumatori riconoscono la credibilità di questi sistemi, e li premiano con le loro scelte di acquisto.